La settima opera

La settima opera

di fra Pier Giorgio T.

Dopo il santuario della Madonna del Buon Consiglio, ai piedi del castello, a Scutari città c’è un altro autentico santuario, il cimitero cattolico di Rrmaj. È il campo reso tre volte santo dal sangue dei martiri, uccisi là dentro o nei paraggi negli anni del regime comunista.
Il giorno 12 aprile 2016 ci son potuto tornare, su invito di suor Marjeta Lushi e delle altre Stimmatine che vivono in questa zona dell’Albania. Si trattava di dare degna sepoltura ad una suora, Cecilia Gjonej, nata a Scutari nel 1893 e deceduta il 5 aprile 1979, a Durazzo. Dopo 37 anni finalmente il Signore ha concesso che questa sorella si riunisse coi suoi resti mortali alle altre compagne di vita consacrata, nel grande sepolcreto esistente nel cimitero scutarino.


Era il tempo in cui le Stimmatine prendevano ancora un cognome spirituale e il suo era Cecilia di san Luigi Gonzaga. All’avvento della dittatura è stata costretta a lasciare la sua comunità, come tante altre suore, come tutte le consacrate e i consacrati d’Albania. Non avendo ormai più consanguinei, ha trovato ospitalità a Durazzo in una famiglia cattolica. La buona signora che l’ha accolta poco tempo dopo è deceduta e così suor Cecilia ha cominciato a realizzare una prima vocazione, quella di madre secondo il legame dell’amore e dello spirito. Ha allevato due figlioletti orfani, Eleonora ed Enrico.
Grande l’emozione di queste persone, oggi di una certa età, che non l’hanno mai dimenticata, tenendo rapporti con le Stimmatine di Scutari. Essi hanno fortemente voluto che si celebrassero queste esequie provvidenziali. Erano presenti sin dall’inizio e il signor Enrico ha preso la parola, in ultimo, per ringraziare il buon Dio e gli intervenuti alla santa Messa. Anche suor Rosa ha offerto una testimonianza di prima mano sulla consorella che ha conosciuto. Alcune altre persone hanno portato dei fiori freschi, per dare onore e dire affettuosa vicinanza alla piccola bara contenente i resti di suor Cecilia. Una sua foto la ritraeva già carica di anni e di rughe, con un velo bianco che le avvolgeva tutto il capo.

La seconda vocazione di suor Cecilia è stata quella di insegnare nelle scuole primarie, alcuni chilometri fuori dalla città di Scutari, in un villaggio di pescatori chiamato Shirokë, San Rocco. Quanto fiato avrà speso per quei bambini, lo sa soltanto Dio. Infine, una prossimità ancor più sacrificante e preziosa, quella nel reparto di Pediatria dell’ospedale civile di Scutari. Da suora infermiera accettava di affrontare innumerevoli turni di notte affianco ai piccoli ricoverati, vegliando su di loro come e meglio di una mamma. Gli angeli custodi davvero stanno in mezzo a noi, in ogni luogo e in ogni tempo.
A Durazzo mamma, a Shirokë maestra, a Scutari infermiera. Una vita vissuta in pienezza di dedizione e di servizio premuroso, che neppure il comunismo più assurdo ha potuto piegare o sconvolgere. Non turbata dalle decisioni degli uomini, né arresa all’ideologia. Se mai capace di trasformare la società con semi di consolazione, progetti educativi, slanci di carità: l’unica rivoluzione che conta!

Il ricordo vivo di suor Cecilia come quello di Maria Tuci, la giovane postulante annoverata nel numero dei trentotto prossimi Martiri albanesi, rinfranchi e sostenga l’impegno delle sorelle Stimmatine e di tutti noi missionari in questo Paese purificato dalla sofferenza. Al Signore la nostra immensa gratitudine, perché nell’anno del Giubileo ci ha fatto incontrare suor Cecilia di san Luigi e della Divina Misericordia, da lei testimoniata così disinteressatamente ed eroicamente all’umanità. Misericordiosa come il Padre! E perché ci fa capire come resti attualissimo in Albania il dettato della settima opera di misericordia corporale: dare una degna sepoltura ad ogni uomo sulla Terra.