Natale 2014 a Dukagjin - un viaggio a Betlemme.

di Rino Andriano

Don Tonino Bello invitava noi cristiani a fare un metaforico viaggio a Betlemme  come i pastori che ricevettero l'annuncio, per poter gustare a pieno la Gioia della nascita di Gesù:

Miei cari fratelli, vorrei essere per voi uno di quei pastori veglianti sul gregge, che nella notte del primo Natale, dopo l'apparizione degli angeli, alzò la voce e disse ai compagni: "Andiamo fino a Betlemme e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere".

Quest'anno ho avuto la gioia di unirmi al gruppo che ormai ogni anno trascorre il Natale tra i villaggi del Dukagjin – una regione montuosa nel nord dell'Albania – dove in semplicità e con orgoglio vivono i resti di una popolazione che riuscì a rimanere libera ed indipendente, a difendere la propria fede cattolica e la propria identità dalla dominazione turca iniziata nel XV secolo e durata fino al 1912.

Il viaggio a Dukagjin è un viaggio nel tempo, nella storia, un'occasione di spoliazione da tutti i fronzoli della civiltà nella ricerca dell'essenziale, nel cammino verso la capanna di Betlemme, dove poter incontrare nostro Signore che si fa uomo.

Il gruppo di viaggiatori, oltre me, questa volta era composto da fra Antonio Imperato, missionario e segretario delle Missioni estere dei Cappuccini di Puglia; fra Domenico Mirizzi, missionario in Mozambico; Carmela Zaza responsabile del progetto Dukagjin; Cosmo Coppolecchia un giovane laico amante delle missioni. Per tutti tranne fra Antonio, Carmela ed Angjelin, uno studente albanese che ci aspettava a Scutari e dà una mano con le traduzioni, era la prima volta a Dukagjin.

Il Viaggio

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so. Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori. Ai quali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il vincastro e scendere giù per le gole di Giudea, lungo i sentieri odorosi di sterco e profumati di menta. Per noi ci vuole molto più che una mezz'ora di strada. Dobbiamo attraversare venti secoli di storia. Dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta a trovare l'antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna povera di Gesù.

Anche per noi il viaggio è stato lungo: siamo partiti da Bari circa a mezzanotte del 23 dicembre per raggiungere a destinazione alle 18,30 del giorno seguente. Ma è stato un viaggio fantastico che ci ha dato la possibilità di assaporare il calore dell'amicizia, di arricchirci della presenza del Signore nelle vite degli altri, di spogliarci delle nostre sicurezze ed affidarci alla Provvidenza. Sì perché il viaggio a Dukagjin in inverno non è mai scontato, è sempre un'avventura. Per arrivarci da Scutari ci vogliono circa 4 ore di fuoristrada; bisogna attraversare un passo di montagna di 1600mt su strade non asfaltate, senza guard rail e con affascinanti strapiombi. Basta una bella nevicata per isolare l'intera valle del Dukagjin ed è impossibile arrivarci. Nel nostro caso siamo stati fortunati, niente neve all'andata, solo un po' di ghiaccio (tenuto a bada con le catene) e, con sorpresa degli abituè, la strada asfaltata da Scutari fino al punto più alto del passo.

Ma il viaggio a Dukagjin è anche un viaggio a ritroso nella storia, un viaggio verso la povera capanna di Gesù. A Dukagjin il tempo si è fermato, la natura è bellissima ed incontaminata, dopo il periodo ottomano, l'ultimo secolo di storia non ha portato segni di ciò che noi chiamiamo progresso, la gente vive come i propri antenati. Con orgoglio e dignità continuano a vivere la propria identità culturale e cristiana appoggiandosi a quelle antiche leggi del “Kanuni i lekë Dukagjinit” che da 6 secoli regolamenta la vita di questo popolo.

Arrivati alla chiesa di Breg-Lumi nella valle di Shala, dove abbiamo dovuto lasciare la macchina per proseguire a piedi, si respira già il Natale di Betlemme. Non ci sono luminarie, alberi di natale, negozi pieni di luccicanti oggetti inutili, traffico, affanni per acquistare all'ultimo minuti i regali da mettere sotto l'albero. Praticamente manca tutto ciò che la civiltà ha fatto del Natale.
Scesi dal fuoristrada, nella buia notte, ci siamo ritrovati immersi in un presepe naturale e abbiamo ammirato la bellezza del creato: il cielo era un meraviglioso manto di stelle, nel silenzio della valle echeggiava il rumore di un vicino ruscello e sui monti che ci circondavano, poche flebili luci indicavano le case dei villaggi e rivelavano l'attesa del Signore nelle famiglie.
Ad attenderci presso la chiesa c'era Pashko, il figlio di Lulash di cui saremmo stati ospiti. Un asinello avrebbe portato i nostri zaini fino alla casa paterna dove tutta la famiglia ci stava aspettando. Per arrivarci, non ci sono strade; ogni casa è raggiungibile solo percorrendo sentieri di montagna. Nel nostro caso abbiamo camminato in salita per circa un'ora, attraversando ponti di legno su corda sospesi sul fiume, meravigliosi prati ricoperti di brina ghiacciata, boschi e scorci rocciosi, ruscelli di acqua che rompevano il silenzio di una natura incantata. Sembrava davvero di ripercorrere i passi dei pastori nella notte dell'annuncio.

Spogliarsi per incontrare Dio

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, lo so. Molto più faticoso di quanto sia stato per i pastori. I quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti e la sonnolenza delle nenie accordate sui rozzi flauti d'Oriente. Noi, invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, la superbia delle nostre conquiste... per andare a trovare che? "Un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia".

Ad attendere con una lampada a gas, il nostro arrivo sull'uscio del cortile, c'era il capofamiglia Lulash, amico di fra Antonio. Da quel momento tutti iniziavano a prendersi cura di noi, facendo della loro casa la nostra casa, della loro famiglia la nostra famiglia superando di gran lunga il detto:

La casa di ogni Albanese è di Dio e dell'ospite. Sempre è pronto del pane, del sale e un giaciglio, insieme al buon cuore, da offrire a chi chieda ospitalità.”

Riscaldati dal fuoco di un camino, dal raki di benvenuto e soprattutto dall'affetto con il quale ci circondavano di attenzioni, abbiamo gustato l'immensa gioa della famiglia Preka di avere in casa non uno, ma ben due sacerdoti, benedizione di Dio e cosa rara da queste parti. Se non fosse stato per fra Antonio e i suoi compagni di viaggio, questi fratelli probabilmente negli ultimi anni, non avrebbero avuto nemmeno la gioia di celebrare la ss. messa di Natale.

L'assenza di corrente elettrica alla chiesa di Breg-Lumi, le distanze delle abitazioni dalla stessa e l'inesistenza di strade, non ci hanno consentito di celebrare la veglia del Natale insieme a tutti i cristiani della valle di Shala, ma ci ha permesso di gustare la gioia dell'attesa con la famiglia di Lulash. Con loro abbiamo fatto una piccola liturgia in famiglia, in italiano ed albanese, per condividere la nostra comune attesa del Salvatore.

Nelle abitazioni di Dukagin mancano tutti i comfort a cui siamo abituati, ma vi garantisco che neanche in un hotel a 5 cinque stelle, si troverebbe la stessa attenzione agli ospiti, lo stesso calore familiare. Nel poco o nel nulla c'è il tutto, ciò che conta veramente. E così anche con il Signore, solo se sapremo spogliarci di noi stessi, delle nostre sicurezze, della nostra opulenza potremo riconoscerlo nel bambino che giace in una mangiatoia.

Andiamo fino a Betlemme, come i pastori. L'importante è muoversi.
Per Gesù Cristo vale la pena di lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di avere sbagliato percorso. Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi della onnipotenza di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove egli continua a vivere in clandestinità. A noi il compito di cercarlo. Saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.

L'indomani mattina, prima di scendere alla chiesa per celebrare la messa di Natale, abbiamo preso parte al rito del Llami, una antica preghiera al Signore, con la quale si chiede la benedizione dei campi dai cui la famiglia trae sostentamento. Su una croce fatta con canne di granturco distesa per terra, vengono adagiati, i frutti dei doni del Signore e del lavoro dell'uomo: pane di granturco, formaggio, dolci natalizi. Intorno riunita tutta la famiglia allargata con la nostra presenza, rende grazie a Dio ed invoca i suoi benefici.

La fredda chiesa di Breg-Lumi, viene riscaldata presto da centinaia di persone accorse dai sette villaggi circostanti. Fuori uno splendido sole e stormi di uccelli salutano il Natale del Signore celebrato a Dukagjin.

Dopo la ss. messa, fuori della chiesa, Cosmo diventa Babbo Natale e cavalcando un asinello, porta doni ai bambini presenti. Un sacchetto di caramelle, cioccolatini e dolciumi, offerti in Italia da tante persone, saranno il segno dell'affetto per questi piccoli fratelli.

È difficile descrivere i volti dei bambini trepidanti nell'attesa di essere chiamati, o l'incontenibile gioia dopo aver ricevuto semplici doni, noi siamo abituati ai nostri figli a cui se si chiede: “cosa ti ha portato Babbo Natale?” si ottiene in risposta una lista della spesa.

Ancora una volta nella semplicità ed autenticità di questi volti, nell'amore dei volontari, nell'impegno dei missionari per questi fratelli si può riconoscere l'Amore di Dio per l'uomo, si può assaporare la Gioia del Natale e della venuta del Signore.

Grazie Signore per questo immenso regalo, per gli esemplari compagni di viaggio; grazie per le famiglie albanesi che ci hanno ospitato e ci hanno accolto come una benedizione di Dio; grazie per il calore con il quale i missionari italiani e i frati albanesi ci hanno circondato nel convento di Nënshat e con cui abbiamo condiviso due giorni prima del nostro rientro.
Grazie Signore per aver conservato la fede in questo popolo d'Albania e per la quale sono stati perseguitati, proteggili ed assistili nel loro cammino perché possano avere futuro e dignità di tuoi figli.

Mettiamoci in cammino, senza paura. Il Natale di quest'anno ci faccia trovare Gesù e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell'impegno storico. lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.
Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà libero di smog, privo di segni di morte e illuminato di stelle.
E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.
Buon Natale!

+ don Tonino, vescovo