20 anni di missione dei cappuccini in Albania

Intervista con uno dei primi missionari nella terra albanese, dali' inizio fino ad oggi.

  1. La prima volta in Albania. Quando, come e perchè?

 

Parlare della prima volta che sono arrivato qua è molto emozionante. Dell’Albania sapevo poco o niente. Sono arrivato qui per prima volta nel 1991, dopo lo sbarco in massa degli immigrati dall’Albania in Italia. Prima di tutto era un desiderio personale vedere un posto geograficamente molto vicino ma che rimaneva un mistero per tutti noi. Il primo scopo della venuta in Albania era di incontrare i preti sopravvissuti al regime e vedere che cosa si poteva fare, come aiutarli.

 

  1. Cosa aspettavi e cosa hai trovato?

 

Dell’Albania sapevamo proprio poco. Non mi aspettavo molto, almeno riuscire a incontrare i preti rimasti. In realtà ne abbiamo incontrati molto pochi, perché durante la dittatura comunista di Henver molti di loro erano stati fucilati, altri morti in galera, altri ancora trucidati e decimati dai lavori forzati, e altri erano praticamente impazziti a causa le torture subite. L'Albania era una terra in una situazione di transizione dinamica e violenta, offriva solo instabilità e insicurezza, tantissima povertà, miseria. Non esistevano strade, non c'era corrente elettrica. Non funzionava niente! Le poche chiese erano diventate depositi e stalle delle cooperative, strutture sportive. In questa situazione è emerso forse il valore più nobile degli albanesi: l’ospitalità. Siamo stati ospitati in ogni casa, in ogni villaggio, da tutti quelli con i quali siamo entrati in contatto. E questo è stato veramente un grande aiuto per noi. Ma la nostra più grande scoperta è stata toccare con mano che la gente voleva pregare, voleva professare liberamente la sua fede. Ci chiedevano di Dio, i sacramenti. Pensate: e se qualcuno veniva scoperto a pregare poteva essere addirittura ucciso, incolpato dal regime di essere una spia del Vaticano e veniva così deportato in paesi lontani dalla tua terra

 

  1. Quando era difficile e che difficoltà avete incontrato?

 

All’inizio fu molto difficile. Non conoscevamo la lingua, non c’erano negozi, non si riusciva a comprare niente. Altro problema era viaggiare, sia per arrivare dall’Italia e sia per muoversi nei diversi post . Per ritornare in Italia spesso andavamo in Montenegro, perchè il porto di Durazzo spesso non funzionava. AI principio siamo stati a Tirana presso un frate adesso morto. Zef pllumi è stato testimone di quello che il regime aveva fatto alla chiesa e alla religione. In seguito siamo stati anche dai gesuiti, sempre a Tirana, dove avevano iniziato una missione in una chiesa del “Sacro Cuore”. Per i primi 2 anni ancora non ci fu una presenza stabile cappuccina in Albania.

 

  1. perchè avete scelto Nenshat come primo insediamento?

 

Questo è successo nel 1993 con l’arrivo di un altro frate, p. Sergio Laforgia, insieme con il Segretario della missione della Provincia Cappuccina. PSergio per un anno è stato ospite di un prete in un altro villaggio della zona, anche lui ben conosciuto dalla gente del Don Injac. Nel 1994, su suggerimento di questo prete, p. Sergio decide di comprare una vecchia caserma ormai abbandonata. Nenshat nella storia religiosa della zona è stata molto importante perchè è stato il centro della diocesi di Sapa, dove aveva sede anche l’episcopio, prima della chiusura della chiese.

 

  1. Come era organizzato il lavoro missionario?

 

A Tirana per un anno abbiamo portato avanti una catechesi nella chiesa dei gesuiti. Poi con la nostra presenza a Nenshat ci siamo occupati dei villagi della zona, Nenshat, Hajmel e Dheu’Lehte.

 

Abbiamo iniziato a restaurare la canonica di Nenshat e una struttura dove abbiamo cominciato a celebrare. A Hajmel si celebrava i una struttura utilizzata come teatro, mentre a Dheu- Lehte si celebrava nella scuola elementare.

 

Intanto abbiamo cominciato i lavori per la costruzione di una chiesa ad Hajmel e Dheu-Lehte. In questa zona operava sopratutto P. Sergio; io sono stato parroco fino al 2003 di Lac Vau- Dejes, una piccola città che poi è diventata il centro della diocesi di Sapa. Anche qui abbiamo costruito la canonica e una chiesa. Adesso è diventata la sede del vesvovo . Un altro posto dove siamo stati presenti è stato Tarabosh, una zona periferica della città di Scutari. In questa zona nel 1998 si è costruita la scuola per i zingari che continua a funzionare anche oggi.

 

Un’aspetto molto importante del nostro operato è stata la missione sulle montagne. Le genti delle montagne albanesi, storicamente abitate da una popolazione di religione cattolica, avevano bisogno di una nuova evangelizzazione.

 

Noi siamo andati nei diversi villaggi, a Puka, a Gojan, Gjegjan, Kimez, Kalivar. Anche in questi villaggi abbiamo iniziato a visitare la gente, le famiglie disperse sulle montagne. Con l'aiuto e il coinvolgimento dei cristiani abbiamo costruito piccole e semplici chiese, dove la gente si poteva riunire, pregare insieme e discutere dei problemi del villaggio. Iniziava così una piccola socializzazione, ritenuta un pericolo dal regime.

 

  1. Adesso che sei ritornato dopo tanti anni cosa trovi di cambiato e cosa è rimasto uguale?

 

Tante cose sono cambiate. Durante tutto il tempo che sono stato in questa terra, ho potuto osservare un fenomeno: l’Albania è cresciuta. E questo oggi lo posso vedere dappertutto. Però voglio ricordare due momenti molto difficili che hanno interessato l’Albania e noi tutti. Il primo , la crisi del 1997, un anno che nella storia dell’Albania adesso rappresenta forse l’anno che non doveva venire mai.

 

Il secondo momento è stato la crisi del Kosovo, dove quasi 1 milione di kosovari sono stati cacciati dalle loro case e sono entrati in Albania. E anche in queste situazioni l’Albania ha continuato a crescere e a ricostruire. Qualche volta una situazione difficile fa emergere i valori di un popolo, e io penso che il popolo albanese è stato e continua ad essere molto pacifico.

 

  1. Adesso come va avanti il lavoro missionario?

 

Quando sono ritornato nel 2012, ho continuato quello che facevano prima p. Sergio e poi p .Prela, il primo sacerdote albanese cappuccino.

 

Adesso noi ci occupiamo in 3 villaggi della celebrazione eucaristica, delle attività con i giovani, organizziamo insieme ai collaboratori il catechismo, la legio maria e i corsi pre-matrimoniali.

 

Durante tutto il tempo della nostra presenza tra la gente abbiamo avvertito la necessità della chiesa, in tutte le sue dimensioni.

 

Siamo presenti nella vita di questa gente, portando l'aiuto necessario ai loro bisogni, perciò sempre ci ringraziano e benedicono il nostro lavoro.

 

Anche i più anziani dicono che con la costruzione delle chiese si è riacquistata un’identità; e ci sentiamo spesso ripetere : “adesso siamo un vero villaggio” !

 

Adesso abbiamo tre frati albanesi Fra Gjon, p. Prela e fra Land, ancora studente a Campobasso . Sono la testimonianza della fede cristiana del popolo e poi sono quelli che lavorano molto per continuare quello che noi frati della Puglia abbiamo iniziato.